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IA: Gli umani tendono a umanizzare?


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  -burt.oz.wilson----------------CC-BY-SA-

Premessa: non amo particolarmente le IA quando queste sono utilizzare per un uso artistico o letterario. Sul serio? Sul serio! Ci sono persone che scrivono blog o articoli o recensioni o chissà cos'altro utilizzando le IA. Non è per me concepibile; o almeno non è concepibile che l'autore di turno non indichi che il testo è stato creato da una IA. Ecco, leggerei volentieri un articolo o anche un intero libro scritto da una IA, ma devo essere consapevole che sia stata una IA a scriverlo. Bene, con quest'ultima frase c'è già del materiale per un ulteriore articolo dedicato alle IA (che beninteso non possono e non devono essere trascurate da un punto di vista evoluzionistico).

Tornando al "core" dell'articolo: si tratta di un concetto a cui sto pensando in questi giorni: qual è il punto di vista degli umani rispetto alle IA? Gli umani tendono a umanizzare?

Il quesito non è nuovo, un concetto già spesso trattato (qualcuno ha detto Philip K. Dick? Qualcuno ha detto Blade Runner? Terminator? Tanto per citarne due o tre) o trattato tanto banalmente -con tanta evidenza- che non rappresenta più il tema centrale della storia, ma l'ovvietà con cui alimentarne il motore narrativo (film o racconto che sia). Non è così importante -addirittura già scontato- che un essere umano osservi una macchina androide o un sistema di network "senziente", parlando -interagendo- con esso provando empatia, rabbia, ammirazione, disgusto, persino amore. Ed ecco che in modo così naturale per noi umani, proviamo e mostriamo sentimenti per una macchina, per un insieme di dati e codice, capace di interagire simulando (ripeto, simulando!) le nostre stesse emozioni. Il nostro è un riflesso perfettamente normale: fino a questo momento storico siamo sempre stati abituati a comunicare e interagire con esseri capaci di provare le nostre stesse emozioni, e seppure su piani diversi da persona a persona, o anche da animale a persona, non siamo mai arrivati ad essere tanto coinvolti emotivamente con una macchina -un software- capace di simulare un dialogo e le emozioni.

Seppure sia capitato almeno una volta nella vita, a chiunque, di parlare con il tostapane, la lavatrice, l'automobile, le proprie scarpe; nessuno è stato mai convinto che potessero rispondere.

Non parliamo di domotica, ma quasi: non è forse iniziato qualche anno fa? Con l'arrivo di "altoparlanti" dotati di microfono e collegamento a internet? Di sicuro un bel gioco rivolgersi -chiedere aiuto- a un altoparlante che risponde quasi fosse una persona vera, e forse anche meglio di una persona vera: perché ci da informazioni esatte sul meteo o cerca per noi le canzoni che vogliamo ascoltare senza batter ciglio. E noi ci fidiamo delle sue risposte.

Ci fidiamo.

Ci fidiamo perché siamo umani, perché la fiducia è parte delle nostre emozioni ed è un'emozione positiva. E questa fiducia -spesso- si propaga oltre il mero utilizzo pratico delle IA, perché in molti (non tutti, non tutto il genere umano per carità) tende a elaborare questa emozione positiva (e altre come l'entusiasmo) promuovendo un meccanismo di input/output (la IA, appunto) fino al punto di "umanizzarla" di interagire con essa come se 'davvero' potesse ascoltare o leggere 'provando' qualcosa.

Ecco, non è sbagliato un atteggiamento umano nei confronti delle IA, ma è importante - come in ogni ambito che sia di studio o lavoro o ludico - avere la consapevolezza delle azioni. Tornerò si questo argomento perché è davvero troppo vasto per esaurirlo con un singolo articolo e, di certo, nuovi stimoli e dati in merito alla questione continueranno a saltare fuori.


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